Come farli incontrare di nuovo?
Perché i giovani non fanno più volontariato? Questa è una domanda che viene ripetuta spesso in tutte le realtà del terzo settore che devono fare i conti con la sempre maggiore carenza di forze giovani. E’ un tema così complicato, che non voglio certo avere la presunzione di saperne dare una spiegazione.
Queste poche righe sono solo un momento di riflessione su un fenomeno che pesa molto su tutte le associazioni, sia grandi che piccole. Avendo un figlio giovane non sposo le facili spiegazioni di carenza di interesse o superficialità dei ragazzi di oggi perché, nella maggioranza dei casi, non è assolutamente vero. Spesso sono i primi ad avere un bisogno inespresso di sentirsi parte di qualcosa e di sentirsi utili.
Vedere tanti giovani attivarsi spontaneamente per dare aiuto nelle zone alluvionate dell’Emilia- Romagna conferma che esiste uno spirito innato di solidarietà umana. Si tratta però di una partecipazione senza appartenenza, un tipo di coinvolgimento temporaneo e discontinuo. E’ un tipo di volontariato individuale, refrattario alle forme assembleari. Si muove soprattutto sui temi attuali di maggior interesse come quelli ambientali (Fridays for Future), dei diritti delle minoranze o della legalità.
La sfida da affrontare quindi è come adeguare e ripensare i meccanismi di promozione del volontariato. Come fare ad assicurare questo flusso di energia in maniera continua e non in forma intermittente a fronte di singole esigenze critiche.
La nostra associazione nell’ultimo periodo sta beneficiando del volontariato aziendale. Un esempio di come sia stata creato uno spazio strutturato che permette di reperire risorse per questa forma di attività.
Questa esperienza può essere uno spunto per creare soluzioni simili negli spazi in cui si muovono i più giovani, la scuola per esempio. La scuola come pilastro per la promozione della cittadinanza attiva. Un centro di aggregazione importante in un tessuto sociale disgregato dove le tradizionali organizzazioni non riescono a coinvolgere le migliori e più giovani risorse. Lo scopo dei “Patti educativi di comunità”, introdotti dal MIUR nel 2020, rientra proprio in quest’ottica. Sono accordi tra gli enti locali, le istituzioni pubbliche e private operanti sul territorio, le realtà del terzo Settore e le scuole per promuovere e rafforzare la collaborazione tra la scuola e tutta la comunità.
L’idea fondante è quella di una scuola aperta e disponibile ad accogliere iniziative educative nate dal territorio. L’obiettivo è l’attivazione di modalità didattiche alternative che rendano possibili esperienze di crescita all’interno di una comunità. Rimane da valutare quanto sia realmente possibile realizzare con i fondi disponibili.
Per quanto riguarda il terzo settore sembra che si apra una nuova sfida, non solo creare strategie per la raccolta fondi (fund raising) ma anche di persone,“people raising”.
La volontà e la tenacia, come sempre, non ci manca.